TRE PITTORI A SAN LEO

 

[…] Luciano Vannoni, ci riporta in vita uno dei più grandi artisti del Novecento, Giorgio de Chirico, e ne riflette le orme impollinandosi del suo stile, si reinnesta nel suo filone apprendendone i segreti architettonici, svariati in solenni colori tangibilmente afferenti allo stile del maestro, così da costruirne i medesimi edifici, i manichini, i corpi viscerali in fisica, che rimane in un aplomb duro, imbrunito in colori senza incrinature, pastosi, densi, compatti, a conferire testimonianza di come un forte connotato come quello di De Chirico ancora con la propria cultura, i propri viaggi, la volumetrica fantasia, funga da supporto sostanziale e da transfert per una didascalica sorte pittorica futuribile.

 

Milena Massani

 

LA TRADIZIONE E LA RICERCA

 

[…] Un caso diverso è quella di Luciano Vannoni, pittore con un debole (un amore) per l’arte metafisica, fatto questo che lo porta a interessarsi a un autore difficile e affascinante come De Chirico. Vannoni ha voluto realizzare, cioè, alcuni bozzetti della famose “Piazze d’Italia” e le ha immaginate così bene che il risultato è ottimale, altamente mimetico, un azione da Demiurgo, il dio minore che da vita al progetto del dio maggiore. All’origine dell’interesse per tale genere, spiega l’artista, vi è stata forse la frequentazione adolescenziale dell’ambiente del vecchio seminario di Rimini, luogo di giochi (non era seminarista), ma anche di seduzioni mistiche.

 

Ivo Gigli

LA METAFISICA DEL REALE

 

L'opera di Luciano Vannoni è il risultato di una scoperta improvvisa quanto folgorante, avvenuta nel 1971 alla mostra milanese dedicata a Giorgio De Chirico, La metamorfosi dell'oggetto. [...] La pittura di Luciano Vannoni è frutto di un'agnizione, nel senso di riconoscimento di qualcosa rimasto fino a quel momento sconosciuto perché celato dalle pieghe della memoria. In un saggio Flannery O' Connor dice che, per uno scrittore, se è "sopravvissuto alla propria infanzia, possiede abbastanza informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni".

Anche quando non lavora con gli oggetti della realtà, nell'animo dell'artista restano le impronte di quegli oggetti. Egli le riempie come calchi di opere perdute perché non restino vuote di senso. A spingere Luciano Vannoni verso una pittura mimetica con l'arte di De Chirico, sono state memorie infantili. L'atmosfera che respirò da piccolo nell'antico seminario riminese abbandonato dove passava lunghe ore a giocare, ha improntato il suo modo di esperire la realtà. Quando nel 1971, vide le opere dechirichiane, queste gli procurarono una sorta di cortocircuito emozionale. Quegli spazi vuoti dove si intrecciano fili enigmatici, divennero una magnifica ossessione da rievocare con la forza esuberante della suggestione infantile. Scoprì che ventiquattro dei trenta bozzetti eseguiti da De Chirico nel 1917 durante il soggiorno nella Villa del Seminario di Ferrara, non furono mai realizzati a olio. Recuperando le tecniche dechirichiane decise di trasporre su tela quei disegni. De Chirico sosteneva che la scoperta del passato non è possibile senza la scoperta del presente. Riteneva che la fusione di antico e moderno fosse in grado di far saltare i limiti imposti dalla cultura. In Vannoni, il passato è sia quello storico che quello intimo. Entrambi dialogano con il qui e ora dell'urgenza espressiva. L'arte si ritualizza seguendo un movimento spiraliforme e, attraverso il riconoscimento di un comune sentire, si spiega al mondo.

 

Maria Chiara Monaldi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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